Wednesday, October 22, 2014

Guidare a Londra

English version here

Qualche mese fa mi sono deciso, era arrivato il momento, basta con la metro da plebei, la oyster da togliere dal portafoglio per pagare, il caldo, i ritardi, i posti dove non puoi andare o puoi andare solo a costo di prendere 3 autobus.
Ho scelto il freddo, la pioggia, il non leggere (dio quanto amavo leggere).
Così ho comprato una moto, e come molte delle scelte della mia vita il movimento dal pensiero all'azione è stato piuttosto veloce (come quando ti chiedono se vuoi del tiramisù).
Dopo un primo fallimento nel negozio consigliato da un mio collega che cito "hanno tutto, modelli nuovi di continuo, vai lì e risolvi" rivelatosi un buco con 6 moto, di cui 4 erano nontroppovecchie Vespa, una era una stravecchia Vespa e una chissàchemarca che non mi piaceva e basta.
Mi sono arreso ai vecchi metodi ed ho iniziato a cercare su internet, deciso a guidare per Londra entro breve.
Avevo un budget ideale di 2000 pound, inclusa assicurazione, caschi, etc. Ho sforato di poco ma ho trovato una 250cc, che mi sembrava comoda per andare fuori città una volta ogni tanto.

Come funziona comprare una moto a Londra? La vedi, versi un acconto, vai a casa, fai l'assicuraizone in 30 minuti mentre ti puliscono la moto e la mattina dopo la ritiri. Facile facile.

Ok, ho una moto, perfetto, fantastico, ora attacco il navigatore e... mmmm... dove lo metto il navigatore? Ma davvero cazzo ancora non c'è l'aggancio per il cellulare di serie? Ok lo ordino.

Metti il cellulare in tasca, studia la strada, fermati a controllare, rimettilo in tasca, fermati, vai, fermati, vai, fermati, vai ok si può fare mentre aspetto che Amazon mi spedisca il pezzo che mi serve.

Prima di continuare sfatiamo un paio di luoghi comuni:

Com'è guidare a sinistra? Normale. Ci si abitua subito, la precedenza è invertita ma io non faccio lo stuntman quindi se anche la macchina arriva da destra mi fermo se non la vedo decisa a fermarsi.

La città è enorme, ed è trafficatissima, come fai? Ecco, no... La città è enorme, il traffico è tranquillo, le persone sono quasi tutte gentilissime, se sbagli corsia ti fanno rientrare, se devi girare si fermano, avete presente com'è guidare in Italia? ecco, qui è l'opposto. Io non credo di avere mai guidato in una città più rilassante (città, a guidare in campagna stiamo tutti più felici).

Eh ma poi trovare parcheggio: Sì ok, questo è un po' vero, perchè ogni municipalità di Londra ha regole diverse, quindi devi controllare sull'applicazione etc etc. In compenso dove vivo posso parcheggiare dove voglio e gratis, per cui anche 'sti cazzi.

Eh ma il freddo, la pioggia: A Pisa piove il doppio dei mm di Londra, e la differenza saranno 3 gradi centigradi, sono sicuro che ce la posso fare (ma ancora l'inverno non è arrivato).

Ma è pericoloso: sì, vero, puoi cadere. ammazzarti non credo, tutti vanno piano, sei nel traffico, vedo più probabile farti leggermente male o nulla

Sinceramente, perché non me la sono comprata prima una moto?

Volevo parlare del bello dell'avere una moto ma mi sono fermato a descrivere tutte le ragioni per cui non l'ho comprata prima, al prossimo post...

Sunday, April 14, 2013

Non puoi mai essere sicuro delle persone

Londra è grande, grande, grande...

Milioni di persone, da ogni parte della terra, confluiscono in questa metropoli.
Italiani (un po' troppi), spagnoli, francesi, americani, neozelandesi (lo sapevate che la Nuova Zelanda è dalla parte opposta del globo rispetto all'Italia? No? Sapevatelo, su Rieducational channel), canadesi, polacchi, indiani, etc etc etc.
Questo vuol dire, in breve, che ogni volta che incontri qualcuno e gli chiedi da dove venga hai una buona possibilità di non aver nemmeno idea di dove si trovi la nazione da cui viene (quanti di voi sanno puntare il Tajikistan su una cartina?).
Insomma, una multiculturalità molto bella, sempre informazioni nuove, e poi a volte nuovi amici e così via.
Ma io vengo da un piccolo centro, un posto dove lo straniero era il sussinco (abitante di Sorso, 10 minuti di macchina) e le persone le conoscevi e le sapevi capire perchè condividevano con te una cultura, sapevi capire quando mentivano per la scelta delle parole, sapevi che studi avevano fatto, cosa votavano, che musica gli piaceva, sapevi tutto, o quasi, con un'occhiata.
Poi Pisa, e a Pisa già era leggermente più difficile ma ancora quasi quasi ce la facevi, ma con Londra come fai? cosa valuti? La scelta delle parole può essere dovuta alla lingua "franca" che stai usando come veicolo non agli studi che la persona ha fatto, il vestito può essere trendy dalle sue parti e così via.
A Londra la capacità di capire le persone ritorna al livello primordiale, al puro istinto senza mediazione, ad una parte innata e irrazionale che tutti noi abbiamo ma che non essendo filtrata ne potendo veramente sfociare alla ragione ti porta, dopo un mese che esci con qualcuno alla domanda:
"cosa so veramente di te?"
Perchè ok, vieni dal canada, hai una villetta, ho visto 2 foto, ho sentito tanti racconti, vivi dall'altra parte di Londra, ma se tolgo quello che mi hai raccontato cosa so? nulla. Nel piccolo centro ti ho accompagnata a casa una volta, ho visto i tuoi genitori, abbiamo amici in comune, ho una realtà oggettiva di riferimento e se anche questo supporto mi mancasse ho un background ristretto e comune a cui attingere, ma qui? qui puoi essere qualunque cosa, o te stesso...

Mark Puddu dalla Kamtchaka (sì esiste, ma non è uno stato) è uno scrittore e produttore birmano, ha collaborato con riviste come "யாரோ என்று மொழிபெயர்க்க" e anche "ஆனால் நீங்கள் என்ன காரணம்". Viaggia il mondo e da 5 giorni lavora nella città di Londra. Se doveste vederlo in giro salutatelo e offritegli una birra, è astemio ma apprezza molto il gesto.

Gli emoticon e le interpunzioni

Forse, solo forse, tendo a scrivere un po' troppi incisi ma, in attesa che le chat supportino argomenti multipli mi trovo costretto, spesso,  a mettere cose tra parentesi (perchè a volte gli incisi non bastano, capite?).
Ora, a scuola non ho memoria particolare di lezioni sulle parentesi (ma ricordo bene cose del tipo "non iniziare la frase con forse, ora, ma"), ma credo che se anche la mia insegnante si fosse dedicata all'argomento non avrebbe saputo affrontare il dilemma peggiore.
Permettetemi un piccolo excursus di introduzione:
La comunicazione online, mancando di intonazione, mimica, ritmo e, spesso, contesto richiede emoticon. Soprassedendo tutto quello che vorrei dire di male contro le emoticon (ora incredibilmente migliorate in skype grazie alle animazioni ma incredibilmente peggiorate nella mia vita dato che al lavoro devo usare una versione di msn di anni fa con le icone di msn di anni fa) devo constatare che le emoticon vanno usate, anche se vorrei evitarle, il mondo ti costringe a ricorrere ancora ed ancora ad esse (ma sono contento sia finito il periodo delle emoticon custom su msn per cui la gente aveva un rapporto lettere/emoticon 1 ad 1).
Terminato l'excursus appare chiaro che, essendo le emoticon necessarie, ed essendo gli incisi e le delucidazioni parte del mio (e spero anche quello di altri) modo di scrivere vi pongo la seguente domanda:

come chiudere un inciso con uno smile dentro?
( in questo modo:) ).
(oppure meglio in questo modo :).

A voi le opinioni

Friday, December 21, 2012

Volo 2

Un'atra notte passata in viaggio, un'altro taxi strumentale chiamato alle 3 di notte per svegliarmi, un altra volta, ancora una volta, non è l'ultima.
Se l'altra volta ho parlato con ogni essere umano che si sia avvicinato a più di un metro questa volta sembra l'opposto, oggi non ci riesco, che è successo al mio mesmerismo?
Zombie, la mattina alle 3 siamo zombie, non c'è niente da fare.
Che poi io non lo capisco granché, mi sforzo di capirlo, ma non lo capisco. Mi spiego meglio: Ho dormito 2 ore (scarse) e già normalmente dormo poco, ho sonno etc etc, eppure in in questo momento preferirei fare 2 chicchere a dormire in aereo. Capiamoci, ho affianco la mia conversazione porzione singola e non posso mangiarla, e mica posso metterla nello zaino e dire "va bè, magari dopo mi viene fame". O ci parlo ora o è un'esempio di umanità perso, una storia che non ascolterò, e le storie in aereo sono sempre belle.
Ricordo un tizio quasi cieco che mi raccontava come era successo e come aveva aperto la sua azienda di trasporti (classica attività da ipovedente), un ragazzo in sedia a rotelle che giocava a tennis, una ragazza che stava facendo l'esame per avvocato e sosteneva posizioni giuridiche improbabili su alcune decisioni della corte di cassazione superate da almeno un anno, un anziano signore al quinto o sesto bypass più operazioni varie, pendolari che tornavano tutti i weekend, emigranti, emigrati, ritornanti, ritornati, viaggianti, vacanti (o vacanzieri?), occupati.
Ed eccomi qui a scrivere per questo blog, che leggono probabilmente in 3 (il che vuol dire che se alzassi il telefono la faccenda si svolgerebbe più velocemente). Però magari un giorno, un giorno lontano, i miei nipoti (se sapranno leggere) potranno guardare il blog del nonno in quella lingua esotica che si chiama italiano e leggere un po' della sua pazzia. Questo, ovviamente, a patto che risolva il problema di avere dei nipoti senza aver figli, vedremo.

Friday, December 7, 2012

Bratislava

Un post diverso dagli altri, me ne rendo conto. Un blog dovrebbe tenere una coerenza intrinseca, è difficile che qualcuno sia interessato a tutti i lati di una persona. Per questo ne ho 4 o 5, non ne aggiorno nessuno, nessuno li legge. Scrivo al mondo per me stesso, la solitudine del mondo moderno, l'eccesso d'informazione ci sommerge.

Il volo per bratislava era alle 5:45, il che vuol dire che quando sono andato a dormire alle 12:15 sapevo che non avrei dormito poi molto.
Ho prenotato un taxi, non tanto per evitare di camminare 20 minuti quanto per essere sicuro di svegliarmi, perchè il taxi, quando arriva, ti chiama finchè non ti svegli.

3:08 a.m. - Arriva il taxi. Sono già sveglio ma non sono pronto, te pareva. metto le scarpe, ho dimenticato di comprare le nuove solette, cambio scarpe, non sono comode come le altre, ma possibile che queste elucubrazioni le vai a fare quando il taxi ti aspetta giù? Metto le scarpe, vado a cercare il maglione, è in salotto. Mi sembra di essere dentro Paz (il film, il fumetto non lo conosco).
Tolgo le scarpe, vado a prendere il maglione, metto le scarpe, metto il cappotto. Dove sta il cappotto? perchè non c'è il cappotto? è in cucina, ufffff. Tolgo una scarpa e saltello strisciando (perchè se saltellassi farei troppo rumore). Un gamberetto che procede in direzione frontale per arrivare alla cucina.
Bene, cappotto, scarpe, sciarpa... va bè, la sciarpa non c'è, troppo stanco anche per imprecare ma è in camera mia, è vicina, posso buttarmi per terra e raggiungerla con la mano con gesto da morente nel deserto (avete presente? mano tesa che cerca qualcosa, corpo disteso).

3:15 a.m. - Arrivo giù dal tassista, mi scuso per il ritardo, non è il caso che mi soffermi a spiegare i dettagli. Faccio 2 chiacchere con il tassista, di solito ci vogliono 2 secondi, questo sembra uno che non parla tanto quindi lancio qualche parola e aspetto i suoi tempi. Tassista con entrambi i genitori siciliani che non parla una parola di italiano, e me lo dice in italiano con l'accento del padrino (il film).

3:30 a.m. - Sono a Liverpool street, aspetto l'autobus. Un tizio mi chiede da accendere ma in realtà sono in 4. Cioè, dico, 4 fumatori alle 3 di notte senza accendino? va bè, hanno iniziato ora e sono inesperti, sarà senz'altro così. L'accendino torna, tutto ok.

3:40 a.m. - Arriva il bus, lascio la valigia nello scomparto bagagli, come sempre chiedendomi "e se arriva uno e la prende?", poi non succede mai ma, se succedesse, biglietti, passaporto, macchina fotografica, da spararsi. La prossima volta almeno biglietti e passaporto me li metto in tasca. Me lo dico ogni volta, poi arrivo lì e preso dall'emozione me ne dimentico, e appena seduto mi torna in mente, un attimo troppo tardi, sempre un attimo troppo tardi.

3:45 - il bus si ferma e qualcuno si siede vicino a me, che significa che sciarpa e cappello tornano sulle mie gambe, continuo a guardare un video di Ted su un argomento che già non ricordo più.

3:50 - blocco Ted e decido di fare 2 chiacchere. Da dove vieni? Dalla Bay Area, California. E te pareva, è il mio destino, va bè. 30 minuti di chiacchere sul suo viaggio, gli slang british e così via, fino all'areoporto dove non dice manco ciao e sparisce, finita la mia chiaccherata porzione singola (per citare fight club).

4:10 - Fumo una sigaretta prima di entrare in areoporto e inizio a chiaccherare con un Turco che fumava anche lui a -2 gradi (o forse -10, chissà). Dopo un po' gli chiedo da dove venga, "Puglia", ah, ecco, te pareva, e continuo a parlare in Italiano. Continuo la chiaccherata davanti a un caffè, il mio volo parte prima, ecco, recarsi al gate, vado al gate.

4:30 - Arrivo all'area gate, non c'è il 34, che succede? Chiedo, mi dicono di tornare indietro, non è proprio previsto quindi come un salmone cerco di risalire la corrente di scale automatiche avverse, torno al punto di partenza, dove sta questo gate 34? chiedo, mancano 13 minuti, vuoi vedere che perdo il volo...
Per il gate 34 devi prendere il treno, seconda fermata.
Treno? cos'è il treno? c'è un treno? La tensione sale, trovo il treno.
Parti, cazzo, dai, parti (non penso nulla di volgare, o meglio, lo penso ma in inglese, che quindi non è proprio la stessa cosa).
Una fermata, due fermate, ho 7 minuti, arrivo al gate, un tizio sta chiedendo qualcosa, non c'è nessun altro, la tizia lo guarda con aria sconsolata, lo sapevo... ho perso il volo... Provo lo stesso a chiedere. La fila è dall'altro lato, infinita.
Ora io vorrei capire il senso di fare la fila del gate 34 sul gate 35, che seppur chiuso un minimo confonde. Mi metto in fila.

Dopo anni di aerei pensi che sia sempre tutto uguale, poi guardi le facce e ti rendi conto che non è vero. Non sono i soliti volti, sono tutti tendenti al russo. Un conato di razzismo italiano mi fornisce un attimo di inquietudine, è incredibile quanto negli italiani sia radicato il razzismo, persino in me, non ci posso fare nulla, c'è sempre un rigurgito involontario sul primo acchito. Spero un giorno passi ma per ora è così, gli italiani, specie negli ultimi 20 anni, si sono lasciati andare al razzismo estremo.

Poco da dire sul volo, volevo fare 2 chiacchere ma ho avuto sfortuna, o non mi sono impegnato abbastanza, quindi ho dormito.

Eccomi a Bratislava, esco dall'aeroporto cercando di capire dove andare, devo prendere il bus 61, ma dove? Un pannello elenca i bus, ho 18 minuti, lo troverò, dice "stazione", ci sarà una stazione.
Esco, mi avvicino ad un tizio, uno di quelli che, visti in italia, cambieresti marciapiede e gli chiedo se parla inglese. Il tizio mi guarda tipo alieno e replica "ovviamente". Ovviamente parla inglese, ovviamente non sa come prendere il bus ma sa che non c'è nessuna stazione.

Il cielo è blu, mi ero dimenticato che fosse blu, aspetto l'autobus, probabilmente sbaglio fermata, internet funziona quindi me ne frego del secondo autobus (che poi era un tram) e cammino 20 minuti, così mi guardo anche un po' in giro.

Trovo un ottico, mi chiedo se, sai mai, avesse il nasello che ho perso degli occhiali. Non parla inglese, tolgo gli occhiali e indico, dice qualcosa tipo "da da fjdsfu erjqwljrew fhasdhjfd erwqjlkewqr 2 euro" dico "yes" e poi cerco di caricare anche io di significato la mia frase e quindi aggiungo, in italiano "rosso di sera bel tempo si spera", così, giusto per contraccambiare, che mi sembrava ingiusto che lui avesse parlato tanto e io dicessi soltanto yes. Già che ci sono gli faccio anche notare che sono storti, in italia quando ci avevo provato avevo visto le peggio cose, lui di nuovo "da da ruweojweq fdjsaldfkfdsjlrw eherwfdjla fdsahdfl" e io di nuovo "yes chi va con lo zoppo impara a zoppicare". in 2 secondi ho gli occhiali perfetti e ho pagato 4 euro (mi sentivo ricco e ho cambiato entrambi i naselli). Faccio per andarmene e mi dice "Ciao". Va bè, forse era italiano, ma tanto un po' di saggezza popolare non fa male a nessuno. Sai mai qualcuno se lo chiedesse non l'ho fatto davvero, non ho detto proverbi, è finzione scenica, ma avrei dovuto, sarebbe stato tutto più surreale. Lui invece ha parlato, chissà che ha detto, magari "Un tovarish aiutato in una tempesta di neve è un amico per la vita".

Ok, sono arrivato, sono le 12 e pare che sia passata l'ora di pranzo da un pezzo quindi meglio che vada a mangiare qualcosa...

Wednesday, November 21, 2012

I colleghi, la solutidune, le grandi città

Milioni e milioni di persone, un'immenso formicaio, intorno a te.
Sono una massa eterogena.
Sono singoli passanti nel parco, sono un flusso nella metropolitana.
Sono ordinati o caotici, silenziosi o rumorosi.
Molti leggono, altri hanno le cuffie, tutti hanno trovato il loro modo di affrontare la profonda solitudine dell'eterogeneità.
L'anormale diventa normale, la solitudine diventa abitudine, ciascuno sopprime il proprio bisogno sociale dietro ad una scusa che, lentamente, diventa la realtà. Alla fine si è convinti che è quello che si vuole, si è felici di quello che si fa, lentamente l'idea si insinua, pensieri del tipo "in metro ho il tempo di leggere" o "non potrei mai stare senza la musica" diventano l'unica realtà, la comunicazione è un'interruzione di ciò che ormai ci siamo prefissi.
All'inizio non era così, me lo ricordo, ricordo di aver scambiato quattro chiacchere con qualcuno, un ricordo lontano perchè ormai anche io non lo guardo più il qualcuno, ormai sono il nessuno, da scansare con la coda dell'occhio mentre leggi.
In una piccola città non hai il tempo di leggere, le distanze sono brevi, l'interazione necessaria. Anche qui, a volte, accade ed è così che in ascensore scambi quattro chiacchere, nei 24 secondi tra il piano terra e il secondo piano ho parlato più a lungo e con più sconosciuto che in un'ora e mezzo (5400 secondi) passati nella metropolitana.
Possiamo imputare questa differenza tra l'ascensore e la metro alla necessità di superare l'imbarazzo di trovarsi in 2 in uno spazio di 2 metri, cosa tutt'altro che naturale per gli esseri umani ma portata dalla tecnologia, o al fatto che, essendo in 2, non ci sentiamo giudicati.
Ecco, giudicati, sembra assurdo ma c'è sempre l'idea di essere giudicati, perfino in un posto dove la probabilità di reincontrare la stessa persona è praticamente nulla la paura del giudizio rimane, è in noi prima che nell'altro, deve far parte delle strategie di adattamento che abbiamo imparato, a tutti piace essere amati o quantomeno accetatti.

Così, tutto questo, si riporta nel lavoro, almeno nel mio lavoro. Davanti ad uno schermo, poi ognuno, singolarmente va a comprare il pranzo, torna davanti allo schermo, legge un libro (a schermo), gironzola su facebook. Sono tante piccole entità isolate che formano una massa silenziosa, ognuno racchiuso nella sua realtà.
Parlando con persone in altri uffici dove succede la stessa cosa scopri che anche per loro è assurdo, anche loro preferirebbero fare 2 chiacchere con qualcuno, anche loro non capiscono questa cultura, ma anche loro, come noi, sono seduti al computer a mangiare da soli. E allora ti chiedi come mai tutte le persone altre con cui parli, quelle lontane, quelle da sole al computer a parlare con te, vecchi colleghi di lavoro con cui, quando lavoravi, non parlavi mai, come mai loro vorrebbero fare 2 chiacchere e parlare con qualcuno ma non trovano nessuno.

Allora cerchi di superare questa barriera, scrivi in chat al tuo collega (la comunicazione verbale, nell'ora di pranzo, è infrequente, soprattutto su  un argomento così delicato) e gli chiedi se lui, magari, volesse andare a pranzo e sedersi al parco a fare 2 chiacchere.

Dice che inghilterra i colleghi sono colleghi, quello nuovo lo porti a bere una volta e finisce lì, e poi si toglie dall'imbarazzo con una battuta: "la mia ragazza sarebbe gelosa".

Lentamente, la solutidine delle masse, ti entra dentro...

Sunday, September 2, 2012

La terza specie


Non sto per scrivere nulla di nuovo ma, come a volte accade, un'esperienza può ricalcare un nuovo solco o fornire nuova linfa a un'idea che già si aveva.

Vivendo a Londra ho incontrato sempre 2 tipologie di italiani:
Gli emigrati per necessità, persone che non riuscivano più a trovare lavoro in Italia o che volevano guadagnare più soldi, vivono sognando di tornare in italia, si lamentano del cibo, del caffè, delle persone, della città. Se possono lavorano con Italiani, vivono con italiani, mangiano con italiani e, da Italiani, inculano chi possono e vandalizzano in giro (tanto non è mica l'Italia). Si lamentano anche dell'italia, quasi sempre (immagino) voterebbero Grillo, ma in fondo anche lamentarsi di tutto è molto italiano.

I viaggiatori, persone che rimangono una settimana, qualche volta un mese, spesso per imparare la lingua. Una parte di loro ti parla in inglese anche se sa che sei italiano, e di solito il loro inglese non è proprio una meraviglia da ascoltare; un'altra parte parla in italiano, vive con italiani, esce con italiani e tornerà in italia dicendo che in tre mesi a Londra non ha imparato un c###@ d'inglese ed è completamente inutile venire qui 3 mesi.

Veniamo al titolo del post:

Qualche giorni fa ero al carnevale di nothing hill, ad ammazzarmi in mezzo alla folla, ma questo è un'altro discorso.
Ero con 2 ragazze italiane che vivono a londra, e un ragazzo inglese che lavora al ministero degli esteri, ma anche questo sarebbe un altro discorso.
2 parole di introduzione sulle due ragazze italiane. La prima, romana, ha lasciato l'italia per vivere in Olanda e dopo 3 anni si è trasferita a Londra per fare la designer freelancer. La seconda, di qualche parte del nord italia, ha vissuto girando, dapprima per Milano, Como, Bologna e poi, come spesso accade per amore, San Francisco, Sydney, Bologna (in un triangolo che si ripeteva per via della tournee di lui).

L'altro giorno invece ho incontrato la terza specie, quella in cui mi sento, quella più difficile da incontrare, quella che praticamente pensavo non esistesse. [Le due specie sopra lo sono stato in passato, almeno in parte]

La ragazza romana l'ho conosciuta online, come spesso accade, in lunghe e divertenti mail metà in inglese e metà in italiano, dove la granularità era la parola e la stessa frase poteva cambiare più volte lingua. Dopo mesi a Londra il tuo cervello pensa così, gli viene naturale pensare in una lingua per alcune cose e in un'altra lingua per altre, e se puoi cambiare lingua mentre parli devo dire che è anche rilassante farlo. All'inizio mi disse "sei italiano, sono qui per conoscere il mondo non l'italia, addio", che è la stessa cosa che avrei detto io quando sono arrivato qui tanto tempo fa, lo capisco, ma poi capisco anche che ogni tanto parlare in italiano è rilassante, e ogni tanto fa bene incontrare uno dei tanti italiani che mi ricordano perchè alla fine, dall'italia, me ne sono dovuto andare.

L'altra, la ragazza del nord, suppongo solo che avesse un accento del nord perchè, in italiano, ha detto solo 3 parole. Ho parlato con lei per un paio d'ore, lavorava come cameriera e scriveva un libro. Per scrivere aveva scelto l'italiano ma per parlare l'inglese, solo l'inglese, altrimenti non impari.

Questa terza specie di persone, che potrei chiamare gitani, mi piace. Sono persone bilanciate, vedono vantaggi e svantaggi d'una e dell'altra lingua, d'una e dell'altra cultura. Sono andati via dall'italia per gli stessi motivi per cui sono andato via io, per scelta, non per necessità. Vedevano e vedono il decadimento e i limiti dell'Italia post-berlusconiana, non guardavano televisione (suppongo) e cercavano di vedere un mondo diverso.

Sono gli italiani, i pochi, che mi fa piacere conoscere all'estero. Sono gli stessi italiani che conoscevo in Italia, alcuni mentre andavano via e altri mentre tornavano per un po'. Sono gli italiani più difficili da conoscere perchè sono quelli che non ti parlano sapendo che sei italiano e a cui non parli per lo stesso motivo.

E' stato bello incontrare qualcuno della terza specie, sapevo che lì fuori, da qualche parte, se ne trovava qualcuno, mi ha rimesso speranze sul futuro.

P.S. Dei ravioli in scatola, degli spaghetti spezzati a metà e del caffè magari un giorno ne parlerò.